F.I.S.Co. 2011 apre mantenendo la promessa. Il primo spettacolo, infatti, porta in scena un'arte che abbraccia le cose umane e le trattiene, nella loro forma più cheap, quotidiana e home-made, con la scommessa di farne un'opera. Zachary Oberzan, con chitarra e video alle spalle, ci racconta la vita casalinga di due fratelli quindicenni fissati con il cinema pop, impegnati nel riprodurre fedelmente le scene più famose dei protagonisti dei film culto degli anni ottanta. Ecco allora un Jean-Claude Van Damme da salotto, che tenta di colpire con mosse di karate la piantina ornamentale di mamma. Fin qui nulla di diverso dai chilometri di pellicola accatastati nelle credenze delle famiglie piccolo borghesi, se non fosse per la stratificazione drammaturgica che assume questo materiale, se sapientemente manipolato da una regia lucida e consapevole come quella di Oberzan. L'attore statunitense, infatti, chiede al fratello, dopo vent'anni, di ripetere fedelmente le scene girate insieme, con tanto di costumi, location e azioni ripercorse con maniacale precisione filologica. Nei vent'anni che intercorrono tra i due set, tuttavia, si è consumata una vita, che ha visto i due fratelli assistere alla separazione dei genitori e prendere strade diversissime, l'una verso una carriera artistica, l'altra dietro le sbarre di una cella per problemi di droga.
Nulla di patetico, né di autobiografico in senso spicciolo, però.
La dimensione umana, tragica e catartica, emerge tra le pagine di un video-diario sapientemente montato, in cui realtà e finzione convivono nel restituire, in modo spassoso ed emozionante, una "real America" che esce dai reality tv ed entra, a tutti gli effetti, nelle maglie dell'arte contemporanea.
 
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