Io sono a Cagliari, lontana da tutto e da tutti. Mi arriva un sms di Lelio Aiello "Mi ascolti in streaming alle dieci?". Io sto mangiando tagliatelle con la bottarga, le arselle e i carciofi. Finisco e vado in albergo, tolgo le scarpe, apro il computer, mi collego alla rete e ascolto. Poi accendo il registratore e parlo. Commento quello che ascolto, in un gioco di specchi che disorienta. Nulla di nuovo, no. E cosa ci interessa del nuovo? Ho appena finito di conversare con un cinquantenne conosciuto per caso, solo perchè condivideva la mia stessa sala da ristorazione. Si parlava del vecchio, e di quello che, quel vecchio, è ora.
Altre parole, ora, alla radio, inneggiano a 'una coscienza critica che non si enuncia in qualità di principio ma che si esercita puntualmente e dolorosamente sul corpo proprio e degli altri'.
Io ho esercitato la mia coscienza critica sul corpo meccanico di un registratore, così come ha fatto Liliana Moro, con il suo radiodramma, che altro non è che un filtro tra la necessità di un artista e la curiosità di un pubblico.
Trovo interessante questa distanza, che rende l'arte più liquida di come Bauman se la immagina, e, forse, maggiormente portatrice di valori di quanto si immaginino gli assassini del postmoderno.
Nulla di nuovo nell'ascolto in streaming. Il calcio ci supera in qualità e auditel. Credo che l'incedere carbonaro dell'informazione via sms del radiodramma di Liliana Moro, conceda all'opera quella componente esistenziale che, paradossalmente, si sposa con la stratificazione asettica del mezzo.
Un inno all'istruzione per l'uso, alla posologia dello psicofarmaco, alla performance da viaggio (la puoi ascoltare anche in viaggio (!), al molti - uno, alla possibilità di partecipare a un'esperienza con la consapevolezza di poter chiudere senza che nessuno lo venga a sapere: la coscienza critica esercitata puntualmente e dolorosamente sul corpo proprio. Agli altri ci si pensa dopo.
mercoledì 9 novembre 2011
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