Nello spazio ci sono corpi che oscillano. Penso all'oscilloscopio, uno strumento in grado di disegnare un grafico relativo al funzionamento di un fenomeno fisico. L'oscilloscopio non dà interpretazione. Mostra. Indica. Testimonia una presenza attraverso curve e lineette.
Quei corpi erano lì, alla mercè del nostro sguardo, rilevatori di uno stato dell'essere, in attesa, forse, di una lettura. O no.
Mette Ingvartsen, nella sua auto-intervista, dichiara di voler creare spazi volatili e flessibili, che corrispondano alle idee contemporanee di vita, invece di rappresentare, per esempio, la contemporaneità stando seduti sulla scena con un mucchio di computer, per mostrare la società della rete.
In quei corpi oscillanti ho visto la proposta e la negazione subito dopo, e poi di nuovo la proposta e di nuovo la negazione. Un incedere e un tornare sui propri passi, continuo, estenuante, compulsivo, quasi a voler afferrare qualcosa che continuamente sfugge.
Forse avrei avuto bisogno di una macchina fotografica con un tempo di posa lunghissimo, per cogliere l'architettura di quel movimento incessante. Non posso far altro che coglierne le estremità. Il momento intermedio è fuggevole, puro istante di passaggio, servile, invisibile, immateriale, maledettamente presente.
Special Guest: Diego Segatto - architetto, designer
Mette Ingvartsen
 
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