Le bestie non fingono, e se lo fanno è per un fine preciso. Se lo scopo ultimo dell’animale è l’istinto di sopravvivenza, allora ieri sera eravamo di fronte a un estremo inno alla vita, che altro non è se non corpo, spazio e amore. Sonia Brunelli e Leila Gharib non potevano scegliere luogo migliore, per il loro Wrestling. In quei sotterranei del Paladozza, mentre di sopra la Fortitudo palleggiava, si è svolto un rituale, a cui nessuno può sottrarsi. Perché in quegli improbabili ring fatti di cellophane, sotto quelle mostruose mascherine di paillettes, in quei microfoni maltrattati, c’eravamo tutti noi, catalizzati, sublimati, decostruiti. Chissà se il nostro “sé” si è perso nell’altro, si è sciolto nella tribù, come suggerisce Maffesoli, l’iniziatore della sociologia del quotidiano, di cui il festival condivide l’approccio. Certo è che, ieri sera è successo qualcosa di vero, di paradossalmente reale, nell’estrema finzione di una messa in scena. E siamo sempre al solito punto, su quel fastidioso e affascinante confine che separa l’arte dalla realtà. Ci salva, forse, il nostro essere, inevitabilmente post-moderni, lontani da quell’ansia classificatoria e sistematizzante che ha caratterizzato i nostri padri recenti. Noi siamo vita, relazione, incertezza, mutazione, aggregazione, wrestling, tribù.
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1 commento:
oi.
io c'ero.
anche con la voce.
che però si è persa nei file del registratore di elisa senza arrivare alla rete.
come elisa, che dopo l'evento è sparita
così non posso fare altro
che cercarla sul blog
per ricontattarla
e approfittare di questo spazio pubblico
per i fatti miei:
cara elisa, complimenti per il progetto
mi interessa sostenerlo
a presto
francesca
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