Materico, straniante, ossessivo, festoso. Il secondo lavoro di Antonija Livingstone si definisce in una calata verso il centro della terrigna vita che ci circonda, nella sua complessità, nella sua meravigliosa anarchia, a cui noi, quotidianamente, cerchiamo di dare un ordinamento.
Essere pubblico, questa volta, è una vera fortuna. Antonija ci dà la possibilità di osservare, con quel distacco giusto, mai definitivo, un accadere. E in scena accadono cose, emozioni, fatti, in un ribollire che ricorda quasi quasi il brodo primordiale, o il traffico del mattino, quando tutto è lì, in potenza, nell’estremo tentativo di affermare il proprio esserci. A un certo punto dello spettacolo, la danzatrice afferma la sua responsabilità per il nostro divertimento, per la nostra noia, per la nostra immaginazione, per la nostra paura. Forse è tutto lì, in quell’atto fortemente politico che ogni giorno ci portiamo appresso: la responsabilità di essere individualità in relazione con il resto.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento