lunedì 12 luglio 2010

Santarcangelo 2010

Santarcangelo 2010 si interroga sul rapporto tra il teatro e il pubblico. Lo fa in modo schizofrenico e adrenalinico, sospeso tra le parole, le azioni e le poetiche. Nessuna strategia, se non quella di dar vita a esperienze, creando dispositivi in cui questa interrogazione si catalizzi e ne esca frastagliata, dissezionata e completamente inevasa. Gli spettacoli diventano veri e propri eventi cui relazionarsi, e noi, spettatori, violati nella nostra fisicità, sentiamo la terra tremare sotto i piedi, ignari di quello che potrà accadere lontani dalla sicurezza della nostra poltrona.
In un'epoca in cui il corpo scompare dietro l'interfaccia del virtuale, il teatro ne recupera la matericità e la usa senza scrupoli. La questione etica? Subito risolta da Cesare Pietroiusti, maestro dell'arte relazionale italiana, che in un incontro di qualche mese fa affermava: "L'utilizzo strumentale del pubblico come elemento imprescindibile della poetica di un artista? Finalmente! L'uomo non si distingue forse dagli animali per la sua capacità di usare stumenti? E quale strumento più completo, complesso e affascinante dell'uomo nella sua componente emozionale, corporea e intellettuale? Usiamoci di più!"

Siamo inevitabilmente lontani da certo agit prop di vecchia data, in cui il coinvolgimento del pubblico era il fine ultimo, votato a una sorta di missione redentrice nei confronti di una dimensione sociale da sovvertire. Oggi il corpo è puro strumento, mezzo, possibilità estetica e tecnica che apre, meravigliosamente, all'indagine, alla ricerca e al perfezionamento continuo dell'applicazione. In quanto strumento, il pubblico viene ora inserito come elemento vivo dell'opera, partecipando delle poetiche più diverse che ne indagano possibilità e derive. Le categorie si frantumano e il giudizio vacilla. Chi sarà, ora, a decretare il giudizio su un'opera se il pubblico, cui prima spettava tale compito, si ritrova a esserne parte? Le gerarchie, ora, sono veramene crollate, nel nome di un'arte che, finalmente anche in Italia, abbraccia la contemporaneità. In altri paesi se ne sono accorti qualche tempo fa coniando definizioni specifiche come nel caso della live art inglese. E non solo sui media di settore. Si parla di istituzioni, pronte a riconoscere e a sostenere nuove forme di riflessione artistica sul reale.

Le nostre istituzioni distruggono i teatri lasciando crateri vuoti. Sarà il caso di approfittarne per trovare nuove forme di esistenza. Il festival di Santarcangelo ne è un esempio.

Audio da: Un oscuro scrutare/Portage - IL TETTO/Angelo Mai+Bluemotion - Pic-nic Champagne 

Santarcangelo Festival 2010

 

1 commento:

dyghez ha detto...

Cara Wunder,
ci siamo trovati proprio l'altro ieri a chiaccherare su questo. Leggendo le parole di Pietroiusti, non mi sembra una soluzione alla questione, piuttosto il punto di vista di un'artista che usa persone come strumenti. Evviva! Meno male che è dichiarato.

A mio parere la chiave del problema sta nell'onestà con cui l'obbiettivo e il metodo sono espressi, piuttosto che certe pratiche che si dichiarano "sociali" per poi accentrare gli esiti sull'autore.
In un articolo fra i tanti che tenta una definizione di "arte relazionale" o "community-art" c'è questo http://www.artonweb.it/artemoderna/artedopo60/articolo37.htm
Le declinazioni sono innumerevoli e indefinite, come l'essere contemporaneo ci insegna. Cambia solo l'entità della responsabilità che mi voglio/posso assumere rispetto agli altri, dando loro la possibilità di scegliere secondo i propri parametri etici. Dall'arte non ci si deve aspettare qualcosa di utile, ma qualcosa di reale e pieno di senso magari sì.
Cioè "non utile" ma "con ricadute sul reale". "Implicata". Suona bene?
Io, come autore e come spettatore, vorrei che fosse un'esperienza che almeno un pò ti fa cambiare. Che sia "un ordigno" collettivo e centrifugo. Non l'esibizione narcisistica e centripeta del lato oscuro dell'autore.

Un'altro punto di vista è quello espresso da esperienza come http://methodsprocessesofchange.wordpress.com/
dove si indaga ANCHE sul fare arte, come dimensione correlata all'essere umano, come tante altre pratiche di cui non si può fare a meno per sopravvivere.

Forse se l'arte non è sociale è un organo in via di necrosi e ci potrebbero essere forme che meritano una fine rapida (...sorry, volevo dire "evoluzione...).