mercoledì 22 aprile 2009

Eva Meyer-Keller (Sw/D) - Good Hands

L’abito fa il monaco. Se incontro il monaco per la strada, in jeans e t-shirt, non mi accorgo che è un monaco. Stessa cosa se metto un fiore di carta ritagliato, con i petali chiusi, sulla superficie dell’acqua e lo osservo mentre si apre. Certo non penso al principio di capillarità. È bello, e basta. E faccio oooohhh.

Nella mia vita, oltre a intervistare persone, mi occupo di laboratori di scienza per bambini da 3 a 6 anni. Propongo gli stessi esperimenti che ha proposto Eva Meyer-Keller nella sua performance. I bambini fanno ooohh e poi imparano il principio che sta alla base dell’esperienza. L’arte si ferma all’oooohh.

Certo, metterla così è riduttivo. Bisognerebbe ricorrere alle sociologie, che spiegano il motivo per cui le persone si riuniscono in un’osteria a fare ooohh davanti a una casina di marzapane che scoppia. O chiedere alla filosofia estetica contemporanea, che sicuramente si interroga sulla questione del rapporto tra necessità fisiologica e necessità rappresentativa. Leggetevi pure Maffesoli, Agamben, Lorenz, Deleuze, Barthes. Noi, intanto, ci sediamo al tavolo di un’osteria, beviamo un bicchiere di vino e mangiamo quel che rimane di una casina di marzapane distrutta da una mirrorball caduta dal soffitto.

Brindiamo alla Meyer-Keller, a F.I.S.Co, all’arte contemporanea e a tutta la tribù che ci crede!

Nessun commento: